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La Tarantella (Forme locali d'espressione)

di

La Tarantella assume le forme locali d'espressione, per cui nelle diverse regioni, o all'interno della stessa regione, accanto alla tipica danza tradizionale ne esistono altre:


 CALABRIA

viddhaneddha (villanella), di origini pastorali e/o contadine, viene cantata e ballata con l'accompagnamento di strumenti, quali il liuto, il colascione, l'arpa o la cetola (cetra), il tamburello, la chitarra, la zampogna (nella sua accezione meridionale di cornamusa) e la ciaramella (la teorica zampogna);


  ISCHIA (provincia di Napoli) e Costiera d'AMALFI (provincia di Salerno):

'ndrezzata (originata dalle 'danze delle spade' contro le incursioni dei mori, viene eseguita da coppie maschili realmente duellanti che scandiscono percussivamente la parte musicale);


 NAPOLI

tarantella dell' imbrecciata o 'tarantella cumpricata' ( prostitute nude, in vie e vicoli malfamati, mimano l'amplesso davanti ai loro clienti o amanti, con passi di danza accompagnati da nacchere e tamburelli ), una delle più antiche ed originali;


 PUGLIA

pizzica e pizzica tarantata (danze originariamente terapeutiche basate su un ciclo coreografico diviso in due parti, la prima al suolo e la seconda in piedi, con figurazioni imitanti le movenze della tarantola), 'tarantella d'amore' e 'tarantella schermata' (ballata 'a duello' da una coppia d'uomini e derivata da vere sfide malavitose);


 SICILIA

siciliana, fasola, jollà e ballettu, con accompagnamento di 'friscalittu' (flautino acuto) e 'marranzanu' (scacciapensieri);


 GIUGLIANO, POMIGLIANO D'ARCO, SOMMA VESUVIANA (comuni in provincia di Napoli), PAGANI e NOCERA SUPERIORE (in provincia di Salerno):

tammurriata (vocale e strumentale, in 2/4, viene ballata anche con i bastoni, su scale musicali arabe , con contrasti ritmici fra il 'siscariello', piccolo flautino, e le 'tammorre'), detta anche "canzona 'ncopp' 'o tammurro" o "canzona 'ncopp' 'a tammorra" (canzone sopra al tamburo), viene eseguita da gruppi di ballerini-suonatori detti 'paranze' (formati da una ventina di persone che possono essere coppie di soli uomini, sole donne o miste), durante i pellegrinaggi a Santuari della Madonna o in occasione di festività in suo onore.

 

Altre forme di danza in uso nel meridione erano:

  • la moresca, danzata da due squadre armate, formate da soli uomini, i 'mori' (dipinti di nero) e i 'cristiani', nella quale era presente una forma d'esorcismo collettivo contro la paura dei Saraceni;
  • la villanella, 'canzone a ballo' campestre d'origine napoletana, accompagnata con liuto, cetola (detta anche 'cetula' e 'cistola': cordofono a pizzico con cassa piriforme e manico corto), arpa, calascione e tamburello;
  • la 'mperticata, danza eseguita al suono del calascione in cui si scontrano uomini armati di 'pertiche';
  • il mattacino, in cui fingono di battersi coppie di uomini armati travestiti da scheletri o con umoristiche armature;
  • il ballo di sfessania (detto anche 'Sfessania' o 'Ballo maltese' e che Salvatore di Giacomo sosteneva essersi poi tramutato in 'tarantella'), di carattere platealmente erotico, in cui due uomini travestiti da 'gallinacci' e con un grosso simbolo fallico ben in vista tra le gambe, si combattono con le più variopinte ed inverosimili armi.

 

Ulteriori balli, di minore importanza, ormai desueti, erano:

  • la chiarantana o "carenziana", originaria della Carinzia, di andamento molto moderato e in tempo binario o ternario;
  • il torniello o "carola", ballo in tondo medioevale, originariamente natalizio;
  • la cascarda, in tempo ternario, risalente al XVI secolo;
  • la ceccona o "ciaccona", detta anche giga, fandango e sarabanda, d'origine orientale, divenne a Napoli un ballo sensuale con testo licenzioso e caratteristiche di cantilena;
  • la catubba (detta anche "tubba catubba", "canazza" cioè 'cagnaccia' e "ballo moresco"), parola che anticamente indicava un grosso tamburo, era una danza il cui ritmo era basato su un tempo composto e nei suoi passi imitava l'andamento di persone ubriache o fisicamente menomate agli arti inferiori. Gaetano Amalfi ne descrive la seguente variante, in uso nella Penisola Sorrentina, detta ‘Lucia canazza’: “Alcuni monelli si abbigliano da femmine da strapazzo; ed al suono di tamburelli, strumenti femminili, saltellano, ballano e fanno della ridicola pantomina, in mezzo ad una gran folla di curiosi. E quando si è stanchi si va a finire all’osteria”.

 

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