Virtual Sorrento Home Page
- Il Territorio della Penisola Sorrentina -

Prodotti lattiero-caseari della Penisola Sorrentina e dei Monti Lattari (*)

a cura di Domenico Mollica e Fabiana D'Ambrosio

Sorrento fresh cheese.
Fig. 1 - Formaggi freschi dei Monti Lattari
- Allevamento

L’allevamento bovino sul territorio che esaminiamo ha una tradizione che risale ad epoche remote. Infatti sin dal 264 a.c. abitanti di Ascoli, i Picentini, furono deportati dai Romani nelle attuali zone che comprendono il comune di Agerola e dintorni. I Picentini iniziarono la loro attività di allevatori con vacche da latte di razza Podolica. Tale attività fu così redditizia che, già nel secondo secolo d.c., Galeno narra della bontà del latte e dei suoi formaggi prodotti sui “Lactaria Montes” (Monti Lattari), denominazione conservata tutt’oggi.

mucche Monti LattariLe razze bovine, nei secoli allevate, sono state oltre la Podolica, la Jersey, la Bruna Alpina, l’Agerolese (creata dall’incrocio di queste tre) e, per ultima, la Frisona. Questa rappresenta attualmente quasi il 90% del patrimonio zootecnico con sporadiche presenza di altre razze tra cui circa un centinaio di Agerolese non in purezza.

Sono presenti, in Penisola Sorrentina, 750 allevamenti con 5.500 capi bovini di cui l’80% composto da vacche da latte. In tutti i Monti lattari (compresa la Penisola Sorrentina) risultano allevati oltre 11.000 capi, pari alla maggior parte di quelli della Provincia di Napoli. L’allevamento è per lo più a conduzione familiare e stabulazione fissa con pochi capi e, solo poche realtà, semibrado. L’allevatore ha un’età media di oltre cinquant’anni. E’ infatti scarsa la presenza di giovani, che si avvicinano difficilmente a questa attività ritenendo più dignitoso e remunerativo il lavoro presso le centinaia di strutture turistico-alberghiere presenti sul territorio.

mucche pascolo Monti LattariLa mungitura è eseguita con macchine in stalla o, negli allevamenti semibradi, in sala di mungitura,oppure, per piccole realtà, a mano. Sono molti i problemi che attanagliano questa piccola realtà: oltre alla citata età avanzata degli allevatori, le nuove normative e le difficoltà di adeguare le vecchie strutture alle nuove esigenze.

Le prospettive sono poco rosee se non vi sarà una netta presa di coscienza politica sull’agricoltura e l’allevamento. Basti pensare che i capi di bestiame sono calati di un terzo e sono scomparsi il 25% degli allevamenti. Pertanto, se non vi sarà nessun nuovo elemento, nell’arco dei prossimi dieci anni rimarranno qualche centinaio di allevatori e pochissimi capi.

 

- La trasformazione

trecciaLa trasformazione del latte è un’antica tradizione, tanto che a tutt’oggi sono presenti nella sola penisola oltre 50 caseifici. Quest’area, infatti, è ritenuta la culla dei formaggi a pasta filata.
I latticini di questa zona sono stati studiati dallo storico Parascandolo (1858) dal quale venivano citati alcune tipologie dei prodotti (provolone del monaco, caciocavallo, burrini ecc.).

Oggi quasi la totalità dei caseifici è a conduzione familiare e di piccole-medie proporzioni, con lavorazione a mano, anche se vi è una parziale meccanizzazione.

Purtroppo, se rapportiamo la quantità di latte prodotto in loco con i prodotti finiti (formaggi), si riscontra una notevole differenza, tale da evidenziare che molto latte lavorato proviene da fuori territorio, per lo più da altre province campane, dall’Emilia Romagna e dall’estero (Germania).

 

- La pasta filata

rima di descrivere i prodotti tradizionali di queste zone è opportuno, in modo schematico, indicare la metodica di lavorazione della pasta filata ed in special modo quella del Fior di Latte. Il prerequisito è la qualità del latte che deve provenire da allevamenti ufficialmente indenni da Tubercolosi e Brucellosi, con carica microbica contenuta e percentuale del grasso non inferiore al 3.5%. Il latte pervenuto al caseificio viene posto in grandi tini di acciaio e termizzato a 60°c. A questo viene aggiunto il caglio di vitello, con una coagulazione a caldo a 36°ce successive rotture della cagliata dopo 40’ e 55’.

La massa così rotta viene posta in un telo su tavoli di drenaggio per l’estrazione del siero residuo. Dopo alcune ore viene tagliata a strisce sulle quali viene versata acqua a temperatura di 95-100 gradi che porta alla formazione di filamenti sempre più spessi, che vengono distesi con una pala e poi filati a mano dando la forma mozzata o della treccia.

Il lavorare a tali temperature cause alle mani dei casari un invecchiamento precoce della pelle, che tende ad assumere un colore violastro. I prodotti a pasta filata possono essere freschi, a media e lunga stagionatura.

Note:
* Il territorio interessato è quello della Penisola Sorrentina, che si stende nel mar Tirreno dividendo il Golfo di Napoli da quello di Salerno, con i suoi Monti Lattari che fungono da colonna vertebrale e comprendono i comuni di Massa Lubrense, Sorrento, Sant’Agnello, Piano di Sorrento, Meta, Vico Equense (posti sulla penisola) ed Agerola, Pimonte, Lettere, Casola di Napoli,Gragnano e Castellammare di Stabia (posti al piede della penisola).